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FAEMA
70 ANNI DI FAEMA UNA MOSTRA UN VIAGGIO
È il 2015. FAEMA festeggia i suoi 70 anni. Una festa un viaggio e una mostra, bellissima. Che adesso diventa un piccolo speciale sul sito del @MuseoGhisallo, un museo che è la casa dei ciclisti e dei loro ricordi. E FAEMA è di casa, al Museo del Ghisallo. La mostra, bellissima, ripercorreva una storia fatta di simboli, volti, immagini, oggetti, icone, tavole tecniche color seppia. «Ci siamo imbattuti in stralci di prodotto in fase di creazione, ideazione, invenzione, brevetto. – scriveva la curatrice Simona Colombo * – Abbiamo sollecitato i testimoni di 70 anni di storia, che hanno voluto contribuire generosamente alla costruzione di questa mostra: dipendenti, fotografi, sportivi, curatori
museali, ciclisti, appassionati di design, progettisti, cultori del caffè, giornalisti, collezionisti. Le nostre scrivanie sono state invase da cimeli e da fogli di carta, da idee abbandonate e poi ripescate ed oggi siamo orgogliosi di accogliervi, per farvi ripercorrere,
attraverso un allestimento suddiviso in grandi temi, l’epopea di un brand glorioso e sempre oltre il moderno».
Eccolo il magico mondo di FAEMA: un mondo che ha pedalato e ancora pedala, con e dentro il Museo. Un mondo che non è solo storia, è amore per un passato di valore che ci piace continuare a tenere vivo, perché vivo lo è. Eccome. Un mondo che ha un fascino unico, così bello da essere attuale e di moda perché ci ripropone quell’atmosfera leggera ma elegante allo stesso tempo di un’epoca.
Così non ti stupire se scalando il Passo del Ghisallo e soffermandoti al Museo troverai – soprattutto durante gli eventi – un furgoncino dotato di una macchina che eroga caffè ai … ciclisti. La chiamano experience marketing, a noi piace invece immaginare di bere un caffè con Il Cannibale Eddy Merckx o con uno dei suoi. Gregari e non. Amici e campioni di un tempo che torna in fretta, basta raccontarlo un po’ e sorseggiare un buon caffè. Con la giusta compagnia. E atmosfera.
*Simona Colombo: GROUP MARKETING AND COMMUNICATION DIRECTOR
PEDALANDO FRA MARCHIO E MITO
Qual è la differenza tra un marchio e un mito? Che cosa trasforma un nome in quel nome le cui sonorità, anche se solo accennate, riescono a suscitare emozioni ed evocare ricordi del passato collettivo e personale? E ancora: cosa ci permette di distinguere con sicurezza, quasi istintiva, l’aura che circonda una parola, destinata a trasformarsi in leggenda, dal rumore di sottofondo sollevato dalle tendenze di una stagione?
Sono le scelte fatte, nel quotidiano, dalle persone che con esse riempiono quel nome di significato. Scelte mai semplici, spesso votate al sacrificio, ma che sempre celano un profondo amore per il progresso e un protendersi con fiducia verso il futuro, con la forza e la certezza della propria tradizione. La costante esigenza di fare ogni giorno qualcosa in più, qualcosa di meglio rispetto al passato e di farlo costantemente da settanta anni. In altre parole il bisogno di essere indiscutibilmente FAEMA.
UNA STORIA MAI SCONTATA
Raccontare la storia di un’azienda è spesso un compito delicato. Non si può comunque prescindere dal coinvolgimento delle persone che con il proprio lavoro hanno contribuito alla sua esistenza. Tutti quei nomi, celebri o sconosciuti, succedutisi negli anni sotto l’egida di FAEMA, si rispecchiano oggi nel valore di questo brand. Mitico anche per questo.
Un brand diventato grande grazie ad una azienda e alle sue persone; al suo valore tecnologico e ai suoi prodotti; un brand veicolato attraverso lo sport. Così la storia di FAEMA è storia di attenzione alla tecnologia, alla ricerca e sviluppo e alla sensibilità nei confronti degli aspetti umani, pratica non scontata negli anni ‘50. E se molti ricordano FAEMA per la qualità dei prodotti, tutti la ricordano per i successi conseguiti nello sport.
FAEMA E IL CICLISMO
Indossavano quelle affascinanti maglie rosso-bianche, che a volte si tingevano dei gloriosi rosa o giallo, erano i campioni della FAEMA, che hanno attribuito lustro al nome di questa azienda valorizzandolo al massimo anche in ambito sportivo.
L’intenso rapporto fra FAEMA e lo sport ha inizio nel 1950 quando Carlo Valente, il gran patron, dà vita al GS FAEMA, una polisportiva che allinea affermati pugili, rugbisti e cestisti, oltre a ciclisti dilettanti.
Dopo tre anni le scelte si orientano esclusivamente alla bici, la gran passione di Valente che si affida a Learco Guerra per allestire la squadra pro che in base alle nuove regole può chiamarsi FAEMA-Guerra.
Nel ’56 nascono due squadre distinte, FAEMA ed Emi. Nella FAEMA milita Charly Gaul, capace di vincere il Giro nella celeberrima tappa del Monte Bondone, in una giornata da tregenda. Gaul, stavolta in maglia Emi, vincerà il Giro anche nel ‘59. In quella FAEMA gareggia anche Rik Van Looy, oltre 100 successi, tra cui due Mondiali e due Parigi-Roubaix.
Ci sono anche due grandi iberici, lo scalatore Federico Bahamontes e il giovane Miguel Poblet, un fulmine in volata.
Nel contempo Guerra costruisce anche la FAEMA dilettanti, tra cui la grande promessa Gianni Motta, ma Molteni lo soffierà ai biancorossi e la delusione indurrà Valente a lasciare il ciclismo. Quattro anni di limbo poi l’incontro con Vincenzo Giacotto, manager d’esperienza, che induce Valente a legare il marchio FAEMA a Eddy Merckx.
Per tre anni il campione belga è l’asso pigliatutto, con 122 successi, tra cui due Giri, due Tour, due Parigi-Roubaix e ogni altra classica di rilievo. In quella squadra figurano, tra gli altri, campioni del calibro di Vittorio Adorni, Italo Zilioli, Victor Van Schil e Patrick Sercu.
FAEMA E IL CANNIBALE
CI BEVIAMO UN CAFFÈ
CAMPIONI (FAEMA) SI DIVENTA
CANNIBALI SI NASCE
Ventitreenne, esordiente al Tour de France, Eddy Merckx nel 1969 si permette di dominare tutte le graduatorie: oltre alla generale, il GP della Montagna, la Classifica a Punti, la Combattività e la Classifica a squadre. Di qui l’appellativo di cannibale che lo accompagnerà nella carriera.